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15. Architettura globalizzata


E’ solo una questione di tempo (non il tempo della vita di un uomo, quello un po’ più ampio della natura) ma la globalizzazione logistico-funzionale del pensiero e delle attività umane, sarà realtà. Abbiamo prima iniziato ad unificare le piccoli tribù dell’uomo della caverna, per passare poi agli agglomerati più grossi di caverne, poi agglomerato di villaggi, poi le città, quindi le regioni, gli stati, i continenti, e alla fine avremo il mondo unificato.

Cosa molto buona, forse utopistica ma auspicabile per la convivenza funzionale e pacifica dell’uomo, che in fondo è simile su tutta la terra, simile lui, ma non la terra; lui poi non è del tutto uguale agli altri, ogni uomo è diverso dall’altro.

La diversità geografica ha condizionato e determinato le caratteristiche somatiche delle diverse popolazioni sulla terra, le cosiddette etnie.

Quello che nella storia, dall’inizio della vita umana, ha sempre individuato l’uomo e la sua cultura è stata la caratterizzazione architettonica dei suoi manufatti, civili, militari e religiosi, i quali si distinguevano spiccatamente uno dall’altro, proprio per le specificità formali e funzionali dettate oltre che dalla propria storia dal posto che l’uomo occupava sulla terra.

Dalla seconda metà del ‘900 in poi, invece, tutta l’architettura è uguale per tutti gli uomini della terra, o per lo meno tende ad esserlo.

Ogni progetto di architettura redatto nel nostro tempo può essere benissimo posto in ogni luogo del mondo senza che la collocazione lo influenzi in alcun modo, e senza che l’architettura si ponga a protezione degli eventi atmosferici tipici dei luoghi. La cosa peggiore di questo modo di intendere l’architettura è che non si distingue più la cultura storica tradizionale di un popolo, né si fa caso alle caratteristiche atmosferiche di quella latitudine.

C’è una omologazione, nel nome della democrazia, per cui tutti i popoli debbono essere uguali, per cui anche l’architettura deve seguire questo concetto. Di conseguenza l’architettura è uguale sia nel deserto che nei paesi tropicali sia dove c’è l’uragano sia dove c’è il terremoto, sia dove ci sono i monsoni sia nel deserto della California, al centro dell’Africa come nei dintorni del polo nord. Nel 2001 sono stato in Cina, sperando di vedere la diversità in architettura oltre a quella etnica, invece ho visto che stavano demolendo tutto quello che era cinese per costruire con lo stile internazionale occidentale omologato.

Però, nel mondo, volenti o nolenti ci sono etnie che tutt’ora continuano nella loro specificità, ci sono luoghi geografici diversi con diverse manifestazioni atmosferiche.

L’etnia non può essere modificata da nessuno, a prescindere dalla volontà di chi pretende che un uomo dell’Africa o della Cina o della Mongolia o dell’Europa o di quello che vi pare, sia uguale all’altro. L’uguaglianza nelle diverse etnie c’è, è insita, è quella della dignità dell’uomo creato con lo stesso valore in ogni parte del mondo, questo è inconfutabile e deve restare integro, ma è ridicolo disconoscere le particolarità delle etnie: tutte obbligatoriamente rispettabili nei loro caratteri costituzionali e tutte diverse. Il peggiore razzismo è quello di omologare falsamente ogni uomo ad una stessa caratteristica come se fossero uguali.

Ho sentito un giornalista che raccontava di un uomo del continente africano, che quando lui saccente europeo gli ha comunicato che veniva dall’Italia, l’uomo gli ha chiesto quanti giorni di cammino ci aveva impiegato per arrivare li. Questo è un modo per negare l’etnia.

Nelle manifestazioni architettoniche le differenze tra i popoli sono state sempre molto evidenti, almeno fino a quest’ultimo secolo, è proprio nel campo dell’architettura, cioè in quel sistema operativo che l’uomo ha sviluppato nel tempo per difendersi dalla natura, quello di costruirsi un riparo, una casa; difesa dalla natura intesa in senso lato: da altri abitanti del luogo, da animali, da manifestazioni atmosferiche, vulcaniche, sismiche e da altre cose che fanno parte della vita sulla terra, ecc., ecc.

Le architetture, che fino al secolo scorso sono state da tempi immemorabili, distintive e individuabili nelle caratterizzazioni costruttive e formali per adeguarsi alla geografia ed alle diverse culture etniche, stanno forzatamente ed irrazionalmente unificandosi, in una unica concezione architettonica sia funzionale che formale, tendente oltremodo a prescindere dall’uomo, dalla natura e ancora peggio con finalità per la maggior parte autocelebrative.

Si è perso il concetto il significato di identità in architettura e non solo, si è persa l’identità.
L’identità non è contro nessuno ma se uno la perde, non sarà più in grado di sapere chi è e non si riconoscerà in nulla. Chi non è cosciente della propria identità non sarà in grado di riconoscere quella di un altro. Il fondamentalismo non è identità è mancanza di conoscenza e sicurezza della propria.

Grave errore e demente omologazione, perché comunque anche se non l’uomo, ma il luogo geografico resterà per fortuna diverso e per viverci ci si dovrà difendere dalle caratteristiche manifestazioni naturali di esso, le quali non sempre sono confacenti o adatte alla vita umana unificata, anzi sicuramente non lo sono, ma nel nostro tempo superilluminista c’è la convinzione che si possa fare tutto in ogni luogo, a prescindere da tutto.

Oggi una parte degli uomini acculturati, quelli che tentano di formare il pensiero dominante, crede che la scienza può soprastare la natura, quindi l’uomo è in grado di modificare il mondo e fare di tutto senza adeguarsi minimamente alle latitudini e longitudini della terra. Un esempio che capita ogni inverno è che anche se nevica e c’è un tempo da lupi bisogna muoversi con l’auto e percorrere le autostrade con le conseguenze conosciute. Quando l’uomo aveva della natura una concezione di dipendenza, se il tempo non lo permetteva si stava a casa aspettando migliori condizioni atmosferiche.

Facciamo una sintesi delle diversità geografiche: aree polari, temperate e tropicali, poi all’interno di ogni area troviamo aree più piovose più secche, franose, vulcaniche, soggette a terremoti, ad uragani, allagamenti, maremoti e molte altre specializzazioni locali.

Ora una sintesi delle aree culturali: europee, asiatiche, arabe, indiane, eschimesi, africane, etc, etc, etc, tralasciandone altre e centinaia di sottogruppi.

Nell’ambito di tutto questo il “sapiens” pretende e vuole costruire le architetture in maniera pressoché simile in ogni luogo, a prescindere da quello per cui l’architettura è nata: difendersi prima di tutto dalle condizioni atmosferiche ed ambientali caratteristiche di quell’area, altrimenti le attività umane si svolgerebbero all’aperto in ogni stagione, come quelle degli animali o delle piante senza bisogno di architettura, magari usando solo le macchine, ma senza architettura; invece l’architettura è vitale oggi come lo era per i popoli primitivi, ma al contrario di essi l’architettura contemporanea non prende in considerazione l’ambiente, se non a fini speculativi, economici.

Il sapiens illuminato considera il suo tempo come se fosse il tempo dell’ universo, quindi quando vede che in un luogo non c’è più il fiume da cento anni, costruisce sull’ex letto, poi il fiume torna e si porta via l’uomo e i suoi manufatti e tutti a dire che il mondo è cambiato, non che l’uomo è stupido.

Nelle zone sismiche si compete con la natura, si progettano case sempre più resistenti al sisma, poi ne arriva uno più potente e crolla tutto. Nelle zone soggette ad uragani si continua a costruire leggere case in legno che ogni volta il vento si porta via, però l’uomo le ricostruisce uguali; con la natura non si compete, l’uomo presuntuoso soccomberà sempre.

La conclusione di tutto questo discorso? ……………Molte conclusioni, ad ognuno la sua.

10 ottobre 2013

Giuseppe Gentili