In teoria il restauro architettonico dovrebbe essere un’operazione molto semplice, poiché in definitiva basterebbe nella maggior parte dei casi, “riportare a come era prima”, consolidare, ripulire, ritrovare, far rifunzionare, ripitturare il manufatto, così come esso poteva essere, senza tanti interventi cervellotici.
In realtà i professionisti che intervengono nelle opere di restauro, tentano sempre un confronto con l’edificio, operando una sorta di competizione, affinché attraverso questo intervento si possa lasciare un segno personale riconoscibile che vivrà nel tempo insieme all’edificio.
Può succedere quindi che si interpretino forme e spazialità non come esse dovevano e potevano essere al momento della costruzione , ma come al professionista piacerebbe che fossero state, a prescindere dalla storia e quindi dalla realtà. Così si tolgono gli intonaci ad edifici nati per loro natura ed epoca con l’intonaco, si ricostruiscono muri in pietra o mattoni a faccia vista in parti improprie dell’edifico, si colorano le superfici con colori non originali, ma con quelli più in voga al momento del restauro e al di fuori di ogni contesto, poi si innestano i più disparati materiali nell’edificio storico quali vetro, acciaio, leghe superesistenti ed ultramoderne in nome di una conservazione maniacale o di una modernità estremamente soggettiva.
Per esempio, in molti centri storici, si vedono facciate di edifici in parte intonacate in parte in pietra o mattoni faccia vista, dove l’unità formale, irrinunciabile per ogni tipologia architettonica e per ogni epoca, viene completamente stravolta; è come se un corpo umano andasse in giro in parte senza pelle, con i tessuti muscolari in vista, nessuno sosterrebbe che tale modo sia esteticamente accettabile a prescindere da ogni altra considerazione.
Troviamo soffitti realizzati all’origine con travi in legno e pianellato sommariamente decorato o semplicemente tinteggiato, che vengono ripuliti con sistemi meccanici o sabbiatura ed il tutto lasciato a faccia vista come se si trattasse di soffitta, magazzino o vecchia stalla, senza rendersi conto che gli ambienti abitativi erano tutti rifiniti, tinteggiati e dignitosamente curati.
Si demoliscono edifici, che poi vengono ricostruiti “uguali a prima e con gli stessi materiali” come se la cosa fosse normale, anzi si sostiene che sia migliorativa per l’aumento della superficie utile data la riduzione dello spessore dei muri e quindi con più spazio utilizzabile, e per una maggiore sicurezza strutturale, tutto vero ma si tratta di un altro edificio e non di quello originale.
Si conservano a tutti i costi parti di travi o capriate in legno anche non decorate, che potrebbero essere tranquillamente sostituite integralmente con altre in legno senza alterare in alcun modo la tipologia strutturale, intervenendo con resine o fibre ultraresistenti, le quali sarebbero più indicate per le astronavi e non per una capriata o una trave in legno. Non parliamo poi dell’inserimento nelle vecchie murature di cordoli o solai in calcestruzzo armato, che sono stati la causa principale dei crolli delle murature storiche.
Questa varia casistica di intervento è presente in molta parte del restauro architettonico sia nelle opere relative alla piccola casa rurale sia per l’edificio storico pubblico, che per il palazzo nobiliare; tali scelte progettuali non hanno nessun’altra spiegazione se non quella che dipendono esclusivamente dalla mancanza di sensibilità del professionista incaricato del restauro, anzi per essere più chiari a volte è conseguenza dell’ ignoranza dello stesso.
Tutto quello fin qui detto non significa che il restauro debba mantenere inalterate in ogni caso, forme e funzioni dell’edificio storico, poiché se vogliamo che questo sopravviva nel tempo per essere trasmesso alle future generazioni, dobbiamo adeguarlo alle necessità funzionali dell’ attualità con conseguenti modifiche adatte a renderlo vivibile e staticamente sicuro , ma questo deve avvenire con molta prudenza e senza integrazioni eccessivamente invasive poiché si rischia di snaturarne la tipologia storica con conseguente perdita di valore culturale.
In alcuni casi però troviamo edifici storici che per la loro stessa natura non possono essere riconvertiti, quindi vanno restaurati così come sono, lasciandoli inalterati e con le caratteristiche con le quali sono giunti a noi, operando in questi edifici mediante interventi di sola e fredda conservazione, come se fossero reperti archeologici da porre in museo. Questo sistema ci permette anche di poter intervenire in futuro con ulteriori opere di restauro, poiché tutto quello che è stato ritrovato rimane inalterato, ma messo in sicurezza dalla corruzione del tempo.
RELAZIONE DI RESTAURO SULLA CHIESA DI SAN COSTANZO (San Ginesio)
Nei primi mesi dell'anno 1998, il parroco Don Luigi Verolini mi chiese di provvedere alla redazione del progetto di restauro necessario alla concessione di fondi dopo il terremoto del settembre del 1997.
Già da qualche anno avevo iniziato, con Don Luigi, un’ analisi dell'edificio con lo scopo di intervenire con opere di consolidamento e di ripulitura da sovrastrutture che si erano andate accumulando negli anni addosso alle murature della chiesa.
Il terremoto accelerò i tempi, anche perché le scosse sismiche produssero e accentuarono molte lesioni nelle murature portanti, tanto che la chiesa fu dichiarata inagibile.
Prima dei restauri questo edificio si presentava in maniera molto diversa: nel ‘700 fu ricostruita una parte della facciata ovest compreso il piccolo campanile a vela, a causa di un terremoto, esternamente le varie cosiddette superfetazioni, usate come garage, cantine, logge, ecc, avevano abbondantemente nascosto la forma della chiesa, (foto 1-2) tanto che non si individuavano più gli elementi costituenti il complesso, torre compresa.
Internamente la chiesa si presentava come un’ aula ad un unico livello quello dell’attuale navata, con l’ingresso posto ad est e l’altare ad ovest, e la copertura a capriate. La parte presbiteriale era caratterizzata da una piccola volta in camera a canne, delimitata da un arco trionfale , (foto 3) addossato ad un muro che delimitava la sacrestia. Il pavimento risultava in Klincher rosso.
Le pareti delimitanti la navata, come si può vedere tutt’ora, sono definite da una serie di archi a sesto acuto con imposte dell’arco, decorate con modanature in pietra arenaria, con diversa fattura e motivi fitomorfi.
Le imposte delle arcate laterali al vecchio ingresso, si presentavano e sono tutt’ora a quote diverse rispetto alle altre della navata
Le pareti della navata risultavano intonacata mentre i piedritti delle arcate erano in pietra arenaria a faccia vista.
Il terremoto del 1997 aveva prodotto varie lesioni alle pareti portanti, alcune sull’arco trionfale, ed alcune, notevoli, specialmente sulle pareti laterali in corrispondenza del vecchio ingresso, sul est.
Prima di procedere al progetto di restauro ed eseguire un buon restauro, buon restauro vuol dire non fare più danni del tempo o del terremoto, furono eseguiti puntuali rilevi dello stato attuale, e furono analizzati singolarmente tutti gli elementi architettonici e distributivi costituenti l’edificio e confrontati con le tipologie storiche architettoniche conosciute. Da questa analisi emersero varie dissonanze, con la documentazione storica dell’edificio quali ad esempio: (>planimetria)
1) l’esatto orientamento della navata est-ovest, con l’altare che invece era posto in direzione ovest e non est, come avrebbe dovuto essere, essendo la chiesa Benedettina, secondo l’identificazione di Padre Pagnani, uno studioso Francescano della zona;
2) la diversità di imposta tra le varie arcate della navata e l’interruzione della modanatura in pietra, che corre lungo le pareti laterali, ( come potete vedere);
3) la monofora chiusa sulla facciata est dove era l’ingresso della chiesa, con sopra un’altra finestra quadrata (foto 4);
4) la presenza di una porta murata sulla facciata ovest, della quale se ne identificava soltanto la soglia e la dimensione dell’ apertura. (foto 5).
5) la presenza di un vano posto sul lato sud, con le rilevanti dimensioni delle sue murature, presenza evidenziata dal rilievo planimetrico dal quale risultavano anche due nicchie murate sulla parete a contatto con la navata poste su i due piani in cui era diviso il vano mediante un solaio in latrerocemento;
6) ed altri vari segni.
Mettendo insieme tutti questi elementi, si ipotizzò, ma con molte certezze a favore, che nella chiesa originaria ci doveva essere la cripta, e quindi, prima di eseguire altri lavori, si decise di scavare nel posto dove avrebbe dovuto essere una delle scale per il vano ipogeo, dato che tipologicamente le scale per le cripte sono poste sempre nella stessa posizione.
Inoltre lo scavo sotto al pavimento era comunque necessario per ricucire le lesioni presenti nei muri delle pareti laterali all’ingresso, che si intuiva proseguivano oltre il livello del pavimento stesso, per questo bisognava comunque scendere fino alla fondazione.
Così fu, e appena sotto alle mattonelle in Klincher del pavimento venne alla luce il primo gradino in arenaria della scala d’ingresso alla cripta. (foto 6-7) non solo, questa era una scala in arenaria, splendidamente conservata.
In circa una quindicina di giorni, mediante uno scavo stratigrafico con la supervisione della Soprintendenza Archeologica di Ancona, il vano della cripta fu liberato dalla maceria con la quale era riempito. Contemporaneamente dall’interno del vano della torre, dopo aver liberato anche qui il pavimento da terriccio vario, fu riaperta la porta che conduceva alla cripta.
Arrivati al livello più basso del vano cripta, furono scoperte diverse sepolture, le quali interrompevano la pavimentazione in lastre di pietra arenaria ed andavano oltre il livello sottostante dove era presente un pavimento in cocciopesto, che in corrispondenza delle sepolture ovviamente era stato rimosso. Queste sepolture presentavano una particolarità e cioè in corrispondenza del capo era presente un coppo in terracotta del tipo di quelli di copertura il quale proteggeva la testa dalla terra di sepoltura posta sul resto del corpo (foto 8-9-10).
Dopo l’euforia della scoperta, il vano cripta, ora poneva un difficile problema di metodologia di restauro, cosa fare !!!!, un intervento conservativo passivo della sola cripta, e lasciare tutto il resto come era, oppure un restauro stravolgente, nel vero senso della parola, restauro attivo che coinvolgesse il vano e ritornasse ad essere parte rilevante e tipologica della chiesa;
Il restauro stravolgente avrebbe comportato ovviamente il ribaltamento totale delle funzioni della chiesa attuale, riproponendo il presbiterio rialzato l’orientamento ad est e l’ingresso ad ovest. Questa topologia di restauro, questo procedimento, con interventi tanto radicali, non era e non è, né usuale, né tantomeno ammesso da qualsiasi Soprintendenza ai Monumenti d’Italia.
Comunque proposi ai Beni Culturali della Regione Marche e alla Soprintendenza ai Monumenti di Ancona di realizzare un restauro stravolgente, con il consenso anche del Parroco Don Luigi Verolini.
Il progetto, dopo alcune discussioni e approfondimenti per niente semplici, fu accettato e iniziammo i lavori per il rovesciamento del complesso e la ricostruzione del presbiterio rialzato.
Si decise anche di non porre in opera alcun pavimento nella navata in modo da permettere in futuro ulteriori interventi di scavo e di analisi.
La demolizione delle superfetazioni esterne per liberare sia la torre che parte della edificio chiesa, è stato l’intervento più semplice e privo di qualsiasi effetto secondario.
A questo punto altre decisioni importanti dovevano essere prese, la cripta in che modo doveva proporsi e interferire con la funzionalità della chiesa, che comunque doveva essere assicurata, varie erano le soluzioni, una soluzione era quella di effettuare un restauro integrativo delle parti mancanti e ridare un aspetto originario al vano, sistema molto più conosciuto nei restauri di edifici storici, oppure porre in atto solo interventi di sola e fredda conservazione, volti unicamente alla sicurezza statica ed alla possibilità di fruizione, lasciare tutto il resto inalterato come se fosse un reperto archeologico da porre nel museo, e tramandare così una struttura protetta dalla corruzione del tempo ma integra nella sua specificità storica con molte possibilità di studio per il futuro.
Con l’architetto Salvati della Soprintendenza di Ancona, scegliemmo questa soluzione, pertanto gli interventi nel vano cripta furono finalizzati alla stretta conservazione e fruibilità, senza alcuna integrazione, a parte il solaio in legno, il risultato che si è ottenuto, e la sensazione che si avverte entrando all’interno del vano cripta ma anche nell’intero complesso navata e torre, conferma l’esattezza della scelta fatta.
In conclusione, nel suo insieme, questo restauro del patrimonio storico-artistico, si pone come metodologia un po’ particolare e forse rara, poiché non è un restauro classificabile nel conservativo-passivo o conservativo-attivo, come di solito si definiscono sommariamente questi interventi, ma è risultato un insieme perfettamente funzionante: la chiesa assolve pienamente alle sue funzioni ed in più ha riacquistato una parte fondamentale della sua storia, la cripta; nello stesso tempo la cripta è un esempio di restauro passivo, anzi possiamo dire di musealizzazione, ma di nuovo inserita e parte integrante di un complesso architettonico storico che è attualmente vivo.
Arch. Giuseppe Gentili
RIAPERTURA DELLA CHIESA DI SAN GREGORIO A CERRETO
17 AGOSTO 2016
Per merito della famiglia inglese di Nicolas True che da trenta anni ha una casa qui a Cerreto, dove spesso abita, è stato possibile il restauro della chiesa di San Gregorio, perché con la donazione di una cospicua somma da parte della Fondazione da loro rappresentata, si è potuto attivare il finanziamento da parte della CEI 8 per mille, che prevede che la metà dell’importo del restauro debba essere coperto da altre fonti finanziarie. Quindi con un totale di circa 110.000,00 € sono stati compiuti i lavori che vedete, compreso il restauro delle due tele. Merito inoltre della collaborazione tra l’impresa Giuseppe Oruquaj e di Decimo Mandozzi di Cerreto.
LA CHIESA
La datazione degli edifici ecclesiastici dell’area Picena è sempre stata fatta risalire dagli storici al XI- XIII secolo, perché i documenti scritti pergamenacei non sono riscontrabili prima di questo periodo, se non in rarissimi casi.
Invece molti edifici anche con evidenza, ci parlano di epoche ben più antiche, come questa chiesa di San Gregorio e come quella di San Costanzo situata nella vicina frazione di Poggio, sempre nel comune di San Ginesio.
Il documento più antico conosciuto della chiesa di San Gregorio risale al 995, pubblicato dallo storico T. Benigni nella sua descrizione di San Ginesio. L’ altro è del 1075 dove la chiesa viene detta Monastero con tanto di nome dell’Abate. Nella metà del secolo XIII l’abbazia di Piobbico di Sarnano possedeva nel territorio di Cerreto estesi beni oltre la chiesa di San Gregorio e San Pietro.
Intorno a questi anni la volontà del Comune di San Ginesio di estendere i propri confini, si manifesta costringendo gli abitanti del piccolo castello di Cerreto ad emigrare dentro San Ginesio nella zona Brugiano prospiciente i luoghi che gli abitanti erano stati costretti ad abbandonare. Secondo uno storico ginesino il castello di Cerreto fu abbattuto dai ginesini mentre gli abitanti erano lontani nella chiesa di San Pietro per assistere ad un servizio religioso costringendoli così a trasferirsi all’interno del paese, dove fu costruita una chiesa dedicata a San Gregorio, detta entro le mura, tutt’oggi esistente.
La chiesa, come di norma nell’alto medioevo, è orientata con l’altare verso est e l’ingresso ad ovest con i gradini a scendere.
Il vano seminterrato costituente una cripta un po’ anomala, è anch’esso orientato perfettamente con l’asse est-ovest, e questo fa sorgere qualche interrogativo.
Si potrebbe pensare che la uesta chiesa sia stata costruita inglobando, in funzione di cripta, il piano seminterrato di un precedente edificio destinato ad altra funzione. In considerazione dello spessore delle murature perimetrali (cm 130) il vano doveva costituire la base di un’alta torre quadrata che al confronto con altre costruzioni simili poteva elevarsi per circa 20 metri. L’uso di tale torre poteva essere quella di magazzino alimentare per la conservazione della produzione agricola di qualche ricco signore. Però la base della torre non avrebbe motivo di essere stata costruita con il preciso orientamento est-ovest.
Altra ipotesi è che il vano seminterrato abbia sempre fatto parte della chiesa in funzione di cripta, anche se anomala. In questo caso saremmo di fronte ad una chiesa costruita con uno schema distributivo molto antico che ci riporta alle chiese primitive dell’alto medioevo, un protoromanico, una chiesa ad aula terminante con un presbiterio sul vano ipogeo sormontato da un’alta torre .
Definire quindi esattamente il carattere e la storia di questo edificio è molto prematuro, c’è bisogno di studi più approfonditi e specifici.
La parte fuori terra invece è quasi completamente costruzione del XVIII secolo, periodo in cui ripetuti terremoti nelle Marche hanno distrutto molti edifici. I lavori di restauro hanno reso possibile di nuovo l’integrazione delle due parti della Chiesa che per secoli sono state separate evidenziando la scala di comunicazione.
Una data 1719 incisa su pietra arenaria in funzione di architrave di una piccola finestra sulla parete nord, dovrebbe far riferimento a consistenti lavori di restauro avvenuti probabilmente dopo il forte terremoto del 1703. Nell’anno 1772 e nel 1786, come risulta da datazioni incise su pianelle in cotto, l’una sul lato nord l’altra posta sulla sommità del timpano frontale, la chiesa fu soggetta a ulteriori lavori i quali portarono alle linee architettoniche dell’elevato che sono giunte fino a noi.
IL VANO CRIPTA
Questo vano è coperto con una volta a botte in pietra di antica fattura, utilizzando pietre sponghe man mano che si sale verso la generatrice di chiave. I muri d’imposta, con spessori di cm 130 circa sono realizzati con pietra arenaria squadrata. Lungo la generatrice di chiave sono posti di costa mattoni in cotto, che dalle dimensioni potrebbero essere romani del tipo manubriato. La pietra sponga non è presente in questo territorio quindi è stata importata, testimonianza questa di una concezione architettonica ben definita tanto da scegliere ed importare materiali a seconda della necessità strutturale. La pietra sponga è molto più leggera e quindi adatta a costituire la volta, riducendo così le spinte su i muri perimetrali.
La volta quindi potrebbe essere romana? Oppure più tarda e costruita utilizzando materiali e tecniche romane?
Ulteriori dettagli dell’intero complesso e specialmente del vano pseudo cripta, speriamo di poterli ritrovare in qualche possibile futura pubblicazione.
--------------
Ora però vorrei fare un breve cenno ad un evento di qualche giorno fa, per meglio evidenziare il valore culturale del restauro che è stato fatto in questo edificio- chiesa.Lo scorso 28 luglio, come sapete, è stata inaugurata la strada Foligno - Civitanova Marche, grandi articoli ed elogi ma quello che ho letto, riportato da un quotidiano on-line delle Marche è stato leggermente sottaciuto.
Leggo:
"L’apertura della Statale 77 è stata diversa dalle altre inaugurazioni, non solo di strade, ma anche di attività commerciali o industriali. La cerimonia, per quella che sembra sia stata una scelta della presidenza del consiglio, è stata totalmente laica, senza benedizione religiosa.
Il vescovo di Foligno, monsignor Gualtiero Sigismondi, ha rilasciato un’intervista a “Radio Gente Umbra” raccontando che la sera antecedente al grande evento ha ricevuto la comunicazione dall’Anas che la mattina successiva non ci sarebbe stato il rito cristiano, previsto invece precedentemente."
Viviamo un tempo in cui con la scusa di non urtare la sensibilità di altre culture si dimentica la nostra. Credo che il problema non sia l’urtare o meno la sensibilità di altre culture, visto che nessuna di queste chiede alcun annullamento, credo invece che disconoscere volontariamente le tradizioni e la storia cristiana faccia parte del modus vivendi della società attuale, orientata verso un laicismo di moda e ad una laicizzazione del vivere mediaticamente forzata. (Laico con il significato corrente non etimologico) Un fatto è certo: chi non conosce o non riconosce la propria identità, non sarà in grado di riconoscere quella degli altri. Al contrario le altre identità non sono né nascoste ne forzatamente e laicamente obliterate .
Attualmente, quindi, riaprire al culto una Chiesa, dopo i lavori di restauro, è una manifestazione culturalmente e completamente opposta a quella prima descritta. La riapertura al culto della Chiesa con la riscoperta di forme e spazi storici antichissimi da rivivere è il modo di questa comunità cristiana di testimoniare, evidenziare, far rivivere e non dimenticare la nostra storia e cultura.
Oggi tutti, laici e non, si sbracciano specialmente a parole, per difendere i cosiddetti beni storico-culturali, grande patrimonio dell’Italia, senza mettere in evidenza però che questi beni, almeno per il 70% sono stati opera della Chiesa e sono tutt’ora proprietà della Chiesa, cioè della cultura Cristiana.
17 agosto 2016
Arch. Giuseppe Gentili
RESTAURO DI ALCUNE PARTI DELLA CHIESA DI SAN FRANCESCO IN SARNANO NELL’ANNO 2015
Sulla collina di Roccabruna a nord di Sarnano, detta anche Valcajano, sorge l’antico convento francescano, probabilmente voluto e comunque sotto la giurisdizione dei signori di Brunforte proprietari di vaste aree che si estendevano dal Fermano ai monti Sibillini.
Nel 1327 i frati, che vivevano nel convento di Roccabruna, decisero per una maggiore sicurezza di trasferirsi all'interno delle mura del Comune di Sarnano, poiché nel vecchio convento molti atti di vandalismo ne avevano pregiudicato la sicurezza. Si ha notizia che nel 1304 alcuni malviventi attaccarono il convento di Roccabruna, ne derubarono le cose e gli diedero fuoco.
Nel 1332 il nuovo convento e la chiesa dentro le mura comunali di Sarnano dovevano essere completati, poiché il vescovo di Camerino concesse 40 giorni di indulgenze alla nuova chiesa francescana.
Durante tutto il secolo XIV il convento è favorito da numerosi lasciti testamentari con la finalità anche del completamento della fabbrica.
L’edificio fu costruito su di una via molto importante, davanti alla Porta Brunforte, posta sulla prima cinta di mura del Comune e sulla strada principale che porta alla Piazza Alta, sede dell’Amministrazione Comunale. Sulla stessa piazza sorge anche la chiesa benedettina di Santa Maria di Piazza dal 1394, proprietà all’epoca dei monaci dell'Abbazia di Piobbico.
Nel 1578 il convento fu ampliato, tramite l’intervento del cardinale Costanzo Torri (1531 -1595), francescano conosciuto come Cardinal Sarnano che donò ai confratelli 4.000 scudi per il restauro del complesso edilizio affidando il progetto all’arch. Stefano Grandi di Macerata.
Il convento francescano e la chiesa appartennero ai frati minori fino alla soppressione napoleonica degli ordini religiosi e nel 1818 con la Restaurazione la chiesa e il convento passarono alla Congregazione dei Filippini. La chiesa, fra gli anni 1822-1833, fu ristrutturata come attesta l’iscrizione sull’architrave del portale che reca la data 1832. Secondo lo storico De Minicis e altri, il progetto di tale intervento fu affidato all’ing. Ignazio Cantalamessa di Ascoli Piceno, la cui presenza è documentata a Sarnano nel febbraio 1829 proprio per dirigere detti lavori. La decorazione a rilievo dell’abside fu affidata allo scultore genovese Giuseppe Salvietti padre filippino e allievo del Canova. Gli interventi riguardarono la ristrutturazione dell’aula trasformando lo spazio della chiesa originale, tipico del basso medioevo con muri di mattoni e copertura a capriate di legno in uno spazio completamente diverso. La nuova veste dell’interno fu quella dello stile neoclassico, con ampia volta di copertura in cartongesso sorretta da colonne pseudo-ioniche. L’intervento comportò la sopraelevazione della chiesa di circa 4 metri, evidente specialmente su via Leopardi, dove la discontinuità tra le due apparecchiature murarie sovrapposte è ben visibile. Anche la facciata fu rimodellata e sembrerebbe con materiale lapideo modanato di recupero, evidente nella integrazione di alcune parti specialmente delle lesene, base e capitello. In questo periodo fu anche costruito l’oratorio, poi sacrestia nuova posta di fianco all'ingresso della chiesa.
Attualmente la chiesa, di cui è Rettore la Parrocchia, è di proprietà demaniale ed è amministrata dal FEC (Fondo per gli Edifici di Culto) con sede periferica nella Prefettura di Macerata.
Nel 1862 il Consiglio Comunale di Sarnano, decise di procedere alla richiesta di acquisizione in proprietà dell’intero attiguo convento per farne la sede municipale che diventerà effettivamente tale nel 1872 con atto ufficiale sottoscritto dal FEC, mentre la chiesa resterà demaniale.
La pianta della chiesa di San Francesco è costituita da aula unica, come quella di Santa Maria di Piazza. Queste due chiese presentano caratteristiche planimetriche simili e sono caratterizzate dallo stesso schema compositivo, cioè quello costituito da un’aula, terminante con un coro sormontato da una torre, che si eleva sopra l’altare. Nella chiesa di San Francesco la torre attuale si eleva per circa 30 metri sul lato sud, non è posta sopra il coro come dovrebbe essere ma di fianco. Il motivo è al momento ancora sconosciuto. La presenza della torre originale in corrispondenza del coro è comunque testimoniata esternamente sia dai due speroni in mattoni che la delimitavano, sia dalla cornice in pietra arenaria dello spiccato dei muri come tutto il resto della parete su via Leopardi.
INTERVENTI DI RESTAURO ESEGUITI
Nel 2014 la Parrocchia di Santa Maria di Piazza Alta, nella persona di don Marcello Squarcia parroco e Rettore della chiesa di San Francesco, ha proposto al FEC di eseguire i seguenti lavori di restauro: la nuova tinteggiatura interna dell’aula e della sacrestia; il pavimento del presbiterio con nuovo altare e ambone in legno; la riapertura delle finestre originali trilobate in arenaria su via Leopardi, occultate dalla muratura in mattoni durante l’intervento del 1832.
Gli interventi sono stati autorizzati sia dal Fondo per gli Edifici di Culto FEC con sede nella Prefettura di Macerata con nota del 20 ottobre 2014 che dalla Soprintendenza ai Beni Culturali di Ancona,con autorizzazione del11 luglio 2014 prot.10723 e 19 giugno 2015 prot. 3717.
L’aula è stata ridipinta totalmente pareti e volta in camera a canne previa verifica sulla pittura esistente per verificare la possibilità di pitture nascoste. Dai saggi effettuati non sono state riscontrate pitture né sotto la vecchia tinteggiatura né nello spessore dell’intonaco. Invece sono presenti tracce di decorazione ad affresco nella parete vecchia posta al di sopra della volta in camera a canne, sulla parete prospiciente su via Leopardi. I colori scelti sono stati concordati con la Soprintendenza di Ancona.
Anche il pavimento del presbiterio è stato ricostruito modificando il gradino che lo divide dall’aula ricostruendolo in marmo come quello del vecchio altare stesso materiale per il pavimento. È stato sostituito anche l’altare attuale ed il leggio. Questi nuovi arredi sono stati realizzati in legno e radica di noce.
Esternamente sulla parete di via Leopardi durante i lavori del 1832 oltre alla sopraelevazione ben evidente furono tamponate a filo esterno le finestre della chiesa del 1332 e realizzata un’ampia apertura ad arco demolendo anche in parte uno dei contrafforti in mattoni. I lavori di restauro hanno riportato alla luce le finestre originarie con nella parte alta la bellissima finitura in pietra arenaria trilobata e scolpita. La finestra ad arco è stata richiusa e ripristinato il contrafforte in mattoni. Sul lato sinistro del presbiterio, esternamente è stata ripresa la muratura di un vano chiuso a mattoni molto degradato e pericoloso.
Arch. Giuseppe Gentili
Progetti per recupero post-sismico
Progetti per recupero post-sismico
Progetti per recupero post-sismico
Progetti per recupero post-sismico