Il vino cotto è un prodotto tipico della tradizione Marchigiana e solo delle Marche e in parte del nord dell’Abruzzo, anche se qui è altra tradizione e diventa la base per altri tipi di vino. Vino da non confondere con il Vin Brulé, o il Vin Santo o Passito dei quali può ricordare in parte il sapore. Il vino cotto Marchigiano nasce principalmente nelle zone montane e subappenniniche dei monti della provincia di Macerata e di Ascoli, dove, sia per la qualità dei vitigni, sia per le temperature dei secoli scorsi, le uve non raggiungevano la maturazione completa a causa del sopraggiungere dei freddi del nord e la neve a quei tempi molto più presente nei mesi di fine settembre e ottobre.
Con il procedimento quindi di cuocere il mosto si aumentava la concentrazione zuccherina con l’evaporazione dell’acqua, così il vino poteva essere invecchiato per diversi anni, altrimenti con le uve aspre e poco mature il vino non avrebbe raggiunto con un sapore accettabile la successiva estate. In sintesi dopo aver macinato l’uva, si raccoglie il mosto in grandi caldaie di rame di circa 3-6- quintali e oltre, dipende dalla potenza dell’agricoltore, si mette insieme al mosto un piccolo ferro all’interno del caldaio detto “la callara” per evitare che il rame modifichi il sapore del prodotto , quindi si procede alla lenta bollitura che deve durare anche 5 -10 ore a seconda della quantità. Il liquido deve ridursi anche fino al 30-50% dipende dalla volontà di ottenere un prodotto più o meno dolce o secco. Il vero vino cotto rurale è secco anche se molto gradevole al gusto.
La tradizione mette a bollire anche alcune mele cotogne, ma credo che servissero più ad essere rese gradevoli per mangiarle che per migliorare il vino cotto. Dopo le ore di bollitura con fuoco basso di legna di quercia, il vino ancora bollente viene messo dentro a botti di quercia o castagno e lasciato aperto fino alla cosiddetta “bollitura” cioè fermentazione, che può avvenire dopo pochi giorni e a volte dopo qualche mese, dipendeva e dipende dalla temperatura naturale della cantina, la quale secondo Vitruvio famoso architetto Romano del I sec a.c., doveva essere esposta a nord e solo a nord.
Questo vino può essere invecchiato anche 20-30 anni. Alla botte dove viene conservato ad ogni anno si toglie una certa quantità lasciandone più della metà, (la base), e quindi si riempie la botte con vino cotto “nuovo” per modo di dire ma già un po’ vecchio, perché proveniente da un’altra botte il cui contenuto è già invecchiato di almeno 3-4 anni. Quest’ultima botte va integrata con vino di uno-due anni. Quindi il vino dell’annata non va mai nella botte storica. Nella veccia cantina di mio nonno, mio padre nel 1984 riempì una botte di vino cotto e non è mai stata vuotata integralmente e tutt’oggi viene integrata con il metodo suddetto.
La feccia nelle botti del vino cotto, se il vino è buono, non la si tocca mai, cioè le botti non si vuotano se non dopo tantissimi anni.
Il sistema paraindustriale-turistico invece è molto più veloce, in due quattro anni è tutto pronto.
Questo vino deve essere bevuto a temperatura ambiente cioè di cantina 12° circa 13°, e bisogna tenere presente che quello naturale senza alcun conservante alla luce e all’aria si ossida, si torbida e cambia colore, quindi se imbottigliato le bottiglie debbono essere molto di vetro molto scuro.
Le vecchie cantine rurali montane avevano una struttura murata per la produzione del vino cotto, quindi si avevano spazi bloccati da queste strutture murarie per tutto l’anno meno una o due settimane di uso durante la produzione, questo perché il vino cotto era un prodotto molto importante nella economia rurale montana, fonte di rilevante energia e stimolatore di vita. Il vino cotto veniva usato dagli agricoltori montani anche come energetico, infatti veniva spruzzato sul muso degli animali appena nati, quali vitelli e agnelli; ci immergevano il becco dei pulcini appena usciti dall’uovo; periodicamente lavavano i neonati mediante un panno bagnato di vino cotto frizionandone la pelle; gli adulti in estate dopo la falciatura manuale per la produzione del fieno e dopo la mietitura al rientro a casa frizionavano il torace e le braccia con abbondante vino cotto, dopo una buona bevuta.
Questo è quello che ho imparato dalla narrazione degli anziani della valle di Terro in Sarnano.
Nella storia antica questo prodotto viene citato da molti storici e scrittori: Plauto, Moderato Columella, Emiliano Palladio. Polibio cita Annibale che arrivato nel Piceno fece lavare i soldati ed i cavali con del vino molto vecchio, che non poteva che essere solo cotto, abbondante nella zona, per curarli dalla scabbia.
Ora questo prodotto è stato assunto a tradizione anche da località a quote più basse, dove il vino tradizionale risultava essere comunque un buon vino, dove le temperature erano adatte alla coltura dell’uva e dove il vino cotto veniva solamente bevuto, ma il “ business is business”, ma loro non hanno strutture architettoniche murate in locali specifici che risalgono anche al XVI secolo.
Ottobre 2015
Giuseppe Gentili