Convegni


Giornate Nazionali dei Castelli XXV Edizione
11-12 Maggio 2024, Sassocorvaro (PU)

IL RESTAURO DELLA SENSAZIONE E DELL’EMOZIONE

I concetti sul restauro che tratterò sono il risultato di 45 anni di professione di architetto e di documentazione letteraria sul tema. Ho assistito a molti dibattiti e convegni sul restauro dei beni culturali storico-artistici, e sempre ho riscontrato dogmi che non mi hanno mai lasciato pienamente accondiscendente con le risultanze finali. Pertanto queste sono alcune mie considerazioni sul concetto di restauro, pubblicate in un testo dalla casa editrice Albatros di Roma. Considerazioni molto private che non pretendono di modificare le teorie canoniche, ma spero che inducano, perlomeno, a far riflettere sul fatto che ci possono essere alternative alle dottrine riconosciute, e provare a praticarle per considerarne i risultati.

Restauro e conservazione sono due termini che vengono utilizzati quasi indistintamente quando si tratta di interventi su beni storico artistici, interventi volti alla trasmissione ai posteri delle manifestazioni culturali dell’uomo, ma il significato è molto diverso uno dall’altro:

Restaurare, come citato nel vocabolario d’italiano, significa: “Restituire allo stato primitivo opere d’arte o altri manufatti, rifacendoli, riparandoli o rinnovandoli”.

Conservare, sempre voce da vocabolario, significa:” Rimanere nello stato originario, in cui l’opera è arrivata a noi, senza alterazioni o deterioramenti”.

Alla luce di tali significati quello che attualmente viene definito restauro altro non ècheconservazione dello stato di fatto delle opere dell’uomo, che il tempo si è degnato di lasciarci .

Cesare Brandi, luminare della materia, con il suo libro: “Teoria del restauro” del 1963, ha fissato i termini degli interventi sulle opere d’arte. Tra le altre argomentazioni dice:

...si restaura solo la materia dell’opera d’arte e il restauro deve mirare al ristabilimento dell’unità potenziale dell’opera, purché ciò sia possibile, senza commettere un falso artistico o un falso storico, e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell’opera d’arte nel tempo”. Concetti espressi e ribaditi in tutte le molteplici carte del restauro.

Il mio concetto invece, vuole modificare questi termini e mettere in evidenza due componenti essenziali dell’opera d’arte, ed in genere di ogni manufatto, mai citate da nessuna “carta del restauro”: la sensazione e l’emozione, che si manifestano spontaneamente alla vista dell’opera, senza la mediazione della ragione.

Questi sentimenti, “sensazione ed emozione”, che caratterizzano ogni essere vivente diversificandolo uno dall’altro sono sempre, presenti sia nell’animo dell’autore dell’opera, che nell’animo dei suoi fruitori, e vengono stimolati dall’opera stessa, così come si proponeva l’autore nel momento della sua realizzazione.

Questo avviene purché l’opera si presenti nella sua completezza, o almeno per la maggior parte della sua geometria.

Forse, la teoria del “restauro stilistico” dell’architetto francese Viollet-le-Duc nel secolo XIX trova una certa corrispondenza nei miei concetti, poiché alla fine, le modalità di restauro di questo architetto, erano finalizzate alla ricostruzione delle sensazioni e delle emozioni generate all’origine dell’opera. Esemplificativo in questo senso è la ricostruzione eseguita a Carcassonne, città fortificata del secolo XII-XIII del sud della Francia. Questo restauro, effettuato nella seconda metà del secolo XIX, è stato dichiarato quasiall’unanimità un grande falso storico, secondo tutte le attuali carte del restauro. Nel 1997 la città di Carcassonne è stata dichiarata Patrimonio dell’UNESCO e quindi patrimonio dell’umanità.

Ora perché è stato dichiarato patrimonio dell’UNESCO un restauro che ha portato a simili falsi storici, non certo per la sua autenticità perché è un intervento con rilevante integrazione della metà dell’800; o forse perché, comunque, rappresenta una tipologia, che per sensazioni ed emozioni, ci riporta tutti nel clima e nell’ambiente del basso medioevo.

Se il valore di un edificio è normalmente dato dalla sua forma, dalla sua funzione, colore, dalle sue caratteristiche tipologiche, dallo spazio che determina, nel quale l’uomo si immerge, vive, cammina, e non solo dal tempo, cioè non solo dal numero di anni della sua esistenza, allora perché dobbiamo salvaguardare una serie di ruderi senza riferimenti unitari, formali e funzionali, privi di specificità artistiche, e senza alcuna manifestazione spontanea della propria funzione, e senza compiutezza alcuna, neanche in parte! Solo perché è antico? Quindi anche un solo antico anonimo mattone o pietra avrebbe un bel valore, un bell’ ammasso di pietre con sommaria composizione, però antichissimo, sarebbe di per sé comunque da conservare. Il valore di un’ manufatto storico non è determinato solo dal tempo, non è da conservare solo perché antico.

Invece, quello che dobbiamo conservare è la materializzazione dello spirito e dell’empatia che l’uomo ha immesso nella materia, pietra o mattoneche sia, nel momento del costruire, della realizzazione, della composizione. Questo è quello che fa la storia artistica e culturale di un manufatto: cioè la trasformazione della materia nella sua nuova esistenza e completezza, in forme e funzioni date dall’uomo, poi anche il tempo ha la sua importanza.

Allora perché non si può ricostruire, magari sulle sue fondazioni, un edificio storico secondo le sue tipologie e le sue funzioni conosciute? Perché no? Una musica di Beethoven si continua a suonare tutt’oggi, anche se non interpretata da lui stesso, anche se interpretata da strumenti ed in luoghi contemporanei, nessuno direbbe che è un falso perché non eseguita in ambito originale.

Tutta la cultura musicale della storia, interpretata ad oggi da musicisti contemporanei è falsa? Anche qui quello che salvaguardiamo non è il suono di per se, ma è la composizione di suoni che l’artista ha giustapposto, e che è diventata per questo opera d’arte.

In teatro si rappresentano opere antiche e antichissime, uguali alle originali, ma interpretate e rappresentate da attori contemporanei, anzi a volte anche con qualche personale variante scenografica: sono false? Dobbiamo tacciarle di mancanza di originalità, quindi copie? False manifestazioni?

Solo in architettura non si può ricostruire, anche soloin parte, un antico edificio storico, documentato letteralmente e magari anche planimetricamente, perché altrimenti sarebbe considerato un falso. Stessa storia per un dipinto o una scultura: non possono e non devono essere risarciti o ricostruiti.

In epoca romana sono state fatte infinite copie di sculture greche che a tutt’oggi sono considerate di enorme valore culturale nonché economico, anche se non originali ma documentatamente copie da originali greci scomparsi.

Allora, quel che da valore a queste opere è solo il tempo? l’antico? È l’età della pura materia che ha rilievo? No, altrimenti l’opera romana, che ha copiato l’opera greca, non avrebbe alcun valore, proprio per il motivo che, essendo una copia verrebbe classificata come un falso. In epoca romana sono state fatte infinite copie di sculture greche che vengono considerate di enorme valore culturale, proprio perché fedeli riproduzioni di originali greci andati perduti. Falsi? Non originali, ma in grado di tramandare culture che altrimenti sarebbero state perse per sempre.

Vedere per esempio il Laocoonte.

Quello che cerchiamo di tramandare al futuro, dell’evoluzione della nostra specie, sono tutte le opere che nei secoli l’uomo ha realizzato, e ciò lo concretizziamo attraverso operazioni di Conservazione e Restauro, affinché i manufatti di ogni genere possano continuare a vincere il tempo, totalmente o almeno in parte. Il problema, nel consegnare ai posteri l’operato dell’uomo, è quello che molto spesso si trasmettono solo stralci della funzione e della forma, senza alcuna sensazione ed emozione di quello che l’opera poteva dare in origine, quindi al limite consegniamo delle false culture.

  • Un rudere potrebbe essere qualunque cosa, la guida, nell’ambito del contesto storico, ci dirà cosa esso è, ed è stato.

  • Di per sé il povero rudere non è in grado di raccontarcelo.

Nell’ambito di un intervento di conservazione o restauro, non ho mai letto di come evidenziare una sensazione, si parla sempre di restauro di beni storico culturali mobili o immobili, ma mai di ridare vita a sensazioni ed emozioni derivanti dall’osservazione di uno di questi beni. Invece sono proprio le sensazioni e l’emozioni che distinguono le opere d’arte l’una dall’altra, pur essendo realizzate dallo stesso architetto pittore o scultore che sia.

È la sensazione che ci prende nel vivere uno spazio architettonico, o quella indotta dalla vista di una pittura, o l’osservazione di una scultura, la percezione del suo spazio circostante, la luce che ne definisce il volume e quindi l’intensità della percezione.

Non parliamo poi della sensazione nell’ascoltare una musica, anzi quella è solo e pura sensazione ed emozione.

Quindi la finalità principale di ogni restauro dovrebbe essere la sensazione e l’emozione, oltre al ripristino della forma e funzione ove possibile, anche se in percentuale rispetto all’originale.

Suscitare sensazioni ed emozioni tramite la ricostruzione di parti, anche circoscritte, di elementi storici presenti in tracce ed individuabili, riproponendo l’immagine finita, anche se parziale, potrebbe essere definito il VERO RESTAURO.

La prima percezione di un’architettura è data dalla sensazione che provoca lo spazio che definisce. Spazio inteso e definito immaterialmente anche come decorazione degli elementi costituenti il manufatto. Quindi per percepire un’architettura nel suo insieme od anche una sua parte, bisogna ricreare la sensazione e l’emozione che si ha vivendone lo spazio, sia generato dalle sue forme geometriche interne che definito dalla sua forma esterna. La presenza di un edificio in un’area, determina una sensazione a seconda delle sue stesse caratteristiche, e questa è la percezione sensoriale provocata dalla struttura. Tanto è vero che se in quell’area l’edificio in oggetto non ci fosse, la sensazione che si proverebbe vivendo quello spazio, sarebbe molto diversa.

Il restauro deve ristimolare i sensi alla stessa maniera di come questi erano stimolati all’origine della sua realizzazione. È vero che è impossibile conoscere la sensazione di un uomo di diverse centinaia di anni fa, di fronte ad una architettura del suo periodo. Un uomo del nostro tempo, anche di fronte a quella stessa architettura antica e completamente originale, avrebbe sicuramente sensazioni ed emozioni diverse, poiché le percezioni e le sensazioni dell’uomo, nei secoli non sono sempre rimaste uguali, non sono sempre le stesse.

Comunque dovremmo tentare almeno di ripristinare volumi e forme tali da sperare d’indurre i nostri sensi verso sensazioni ed emozioni simili a quelle provate dall’uomo coevo all’architettura o all’opera originale.

Il concetto di falso attiene all’oro come ben noto, alle monete, non alle opere d’arte restaurate con parziale restituzione.

 

CONCLUSIONI

La finalità del “restauro” e della “conservazione” è comunque quella di tramandare al futuro i manufatti della cultura di una popolazione nei suoi diversi periodi storici, e nei suoi contenuti materiali e trascendenti.

Ma la “conservazione” dello status quo, non è tramandare ai posteri la cultura di un popolo, è solo il mantenimento dei resti materiali di quella cultura, così come pervenuti attraverso il tempo e da questo condizionati, questo sarebbe una parte della cultura. Il solo oggetto materiale pervenutoci, così come è, non è sufficiente a testimoniare la cultura del passato, ci vogliono anche le sensazioni e le emozioni che l’oggetto generava, stimolava, suscitava al tempo della sua realizzazione.

Per tale finalità è indispensabile la completezza dell’opera o che il restante dell’opera sia, almeno in parte ripristinato nelle sue componenti originarie di funzione, di materia, di forme, di colori e di spazio. Ripristinato, anche solo in parte, vuol dire ricostruito con lo scopo e le finalità pratiche del restauro della sensazione e dell’emozione.

Certamente non si dovrà ricostruire l’intero manufatto, ma anche una sola parte della sua dimensione, quella che sarà in grado e sufficiente a ridare la sensazione e l’emozione dell’origine, stimolando la fantasia di ognuno in un rifacimento virtuale delle parti mancanti, fatta però dal cervello dell’osservatore, dal cervello umano, coadiuvato dalla presenza reale o ricostruita di una parte dell’opera. Inoltre il “testimone culturale” arrivato a noi e restaurato con questi principi, manifesterà autonomamente la propria personalità, storia ed esistenza, senza bisogno dell’interprete, del mediatore, della guida turistica che ne racconti la vita e giustifichi la sua origine e la sua funzione, inoltre, e non poco, c’è la soddisfazione di aver eluso il tempo, almeno in parte.

Ora velocemente alcuni esempi fotografici di ciò che è stato detto, accettabili o meno a seconda dei propri principi sul restauro:

LA TORRE DI SMERILLO

Porto un piccolo esempio di un intervento del genere trattato:

la torre serbatoio dell’acqua potabile di Smerillo, un Comune del Fermano con una vista spettacolare: da una parte i Sibillini e i monti della Laga fino al Gran Sasso e dall’altra il mare Adriatico dal Conero fino a San Benedetto.

Il progetto per la costruzione di un serbatoio di acqua potabile a Smerillo è stata l’occasione per un intervento che potesse dare sensazioni di rimembranza storica, autonomamente esplicitata dal costruito, senza necessità di interpreti.

Il moncone di torre, la rovina esistente, non avrebbe potuto dare altro che la sensazione di rudere.

Un rudere di epoca basso medievale, specialmente se elevato per circa m 1,00-1,80 all’interno di un più ampio rudere di Rocca, rappresenta soltanto se stesso, senza stimolare alcun senso geometrico compiuto e quindi di sensazione ed emozione. È un agglomerato di materiali edili pietre arenarie sbozzate, anche se con qualche faccia ben organizzata.

Il serbatoio doveva essere costruito sul punto più alto del paese, dove erano presenti le vestigia dell’antico castello dei Signori di Smerillo. La riproposizione di un tratto di torre di circa -8 metri, ricostruita sul sedime di quella esistente, con materiali uguali o anche completamente diversi, ma stesse forme,ripropone la sensazione spaziale architettonica che quell’ambiente poteva dare nel basso medioevo, anche se parziale, anche se puntiforme, anche se solo volumetrica, stimolando la fantasia del visitatore coadiuvato dalla dimensione geometrica della torre.

La torre è stata ricostruita sulla base dell’esistente della quale ne è stato utilizzato il rudere per circa m 1,40-1,80 di altezza. Intanto, anche se parzialmente la torre si ripropone in maniera autonoma come tale, senza intermediari, e stimolerà la fantasia dell’’osservatore fino alla percezione di sensazioni ed emozioni vicine, simili a quelle dell’’origine, per lo meno come impatto visivo.

Ovviamente da accettare o da rifiutare.

Ma il rudere così come era, sarebbe rimasto tale, magari con la scritta “qui si ergeva una torre del castello” che non avrebbe migliorato la situazione.

La torre, nella parte in elevazione, è esternamente rivestita in acciaio Cor-Ten concordato a suo tempo con la Soprintendenza delle Marche.

Forse in pietra era meglio? Può darsi, dipende dalle diverse capacità percettive dell’’osservatore, e comunque in futuro potrebbe essere rivestita in pietra, visto che è stato lasciato lo spazio per la sua collocazione.

Ad ogni modo, lo spazio, il volume, la forma, l’ingombro fisico, è stato rigenerato come torre, e questa operazione, possiamo definirla un restauro della sensazione e dell’emozione, integrando due aspetti: quello funzionale e quello sensoriale storico.

arch. Giuseppe Gentili

Sassocorvaro, PU, 12 maggio 2024


Festa dell'Architettura, "Restauro e Conservazione"
24 Giugno 2023, Sarnano (MC)